I cannoni nella R.A.

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I cannoni nella R.A.

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Da RID ( Rivista italiana Difesa) di Novembre 2006,
ho tratto questo interessante articolo relativo allla descrizione delle capacità belliche delle nostre mitragliatrici, nonchè all'adozione del cannone da 20mm da parte dei velivoli della Regia Aeronautica durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ci sono inoltre parecchie annotazioni scritte da uno dei protagonisti da parte italiana dei duelli aerei sui nostri cieli, il Generale di Squadra Aerea Vittorio MInguzzi.

Buona lettura!!

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Quando la R.A. adottò il cannoncino da 20 mm

di Giuseppe Ciampaglia

La memorialistica italiana sulla Il Guerra Mondiale e molto vasta. Parecchi nostri connazionali che ebbero un ruolo significativo in quel conflitto si sono preoccupati di dare alle stampe il resoconto delle proprie attività e la loro visione degli avvenimenti, per farli opportunamente conoscere e valutare. Altri lavori simili sono Invece rimasti nel cassetto di chi li scrisse e non saranno forse mai divulgati.
L'ingresso in uso della videoscrittura ha permesso tuttavia di trasferire su supporto magnetico il lungo dattiloscritto inedito di circa 800 pagine che è stato lasciato dal Generale di S.A. Vittorio Minguzzi (Bagnacavallo di Ravenna 5-3-1912. Roma 20-5-1977), che fu un brillante pilota da caccia della Regia Aeronautica. accreditato di dodici vittorie, certe documentate e di diverse altre probabili (dandogli però una diffusione molto limitata), che ha permesso di focalizzare meglio alcuni importanti avvenimenti bellici di cui l'autore stesso fu protagonista. Dopo aver combattuto in Spagna. V. Minguzzi partecipò fin dagli inizi al grande conflitto come comandante della 359^ Squadriglia del 22° Gruppo C. T. del 52° Stormo, impegnato contro la Francia. In seguito combatté nelle campagne di Grecia e Russia con lo stesso gruppo reso autonomo e, nel luglio del 1942, ne assunse il comando quando il reparto fu dislocato in Sicilia per combattere nei cieli del Mediterraneo, e in particolare su Malta.

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L'anno successivo fu destinato a contrastare la massiccia offensiva aerea alleata sul territorio nazionale, che precedette l'attacco diretto alla penisola.
Da questo lungo memoriale, scritto dall'autore in maniera tanto vivida e accattivante da consentire al lettore di sentirsi partecipe dei numerosi combattimenti aerei e degli altri avvenimenti della sua lunga carriera di pilota militare, si possono trarre alcuni spunti relativi a fatti meno noti che permettono di comprendere meglio quali furono le difficoltà che condizionarono in maniera negativa l'azione della nostra Arma Aerea nel lungo conflitto.
Tra di essi particolarmente interessanti furono gli sviluppi che, nella primavera del 1943, portarono la Regia Aeronautica ad usare per la prima volta i cannoncini a tiro rapido, o mitragliere, da 20 mm a bordo dei suoi caccia, ad integrazione dell'armamento standard, fino ad allora quasi esclusivamente costituito dalle due sole mitragliatrici pesanti Breda SAFAT da 12.7 mm.
Quest'ultima famiglia di armi automatiche italiane per impiego aeronautico, costruite anche in calibro 7.7 mm, era stata rapidamente messa a punto dalla Breda, che non aveva esperienze produttive nel settore, a meta degli anni '20, adattando alle esigenze italiane le mitragliatrici americane dello stesso calibro disegnate e costruite dalla Browning.

Esse furono scelte dalla nota industria metal meccanica lombarda come le più adatte da produrre in grande serie per poter entrare in maniera stabile nel mercato italiano delle armi automatiche.
Ne venne quindi acquistata la licenza di produzione e ne furono anche parzialmente modificate le caratteristiche balistiche, sotto la direzione tecnica dell'ing. Soncini. In particolare, per quanto riguarda l'arma di maggior calibro.

Va detto che la modifica più importante rispetto al modello originale (camerato per la cartuccia 12.7x99 mm) era rappresentata dall'adattamento alla meno potente cartuccia Vickers 12,7x81 SR.
La versione nel calibro inferiore, che nel modello originale Browning era camerato per la cartuccia 7,62x63 mm, venne invece adattata al munizionamento 7.7x56R.
Come sarebbe avvenuto qualche anno dopo anche per il caccia Reggiane Re 2000, che era un derivato dell'americano Seversky P-35, tale ascendenza estera fu, però, accuratamente celata dalla casa costruttrice per non contraddire in alcun modo l'accentuato nazionalismo dell'Italia fascista.

Le nuove mitragliatrici costruite dalla Breda furono quindi presentate come italiane ai concorsi indetti dall'amministrazione militare per l'adozione di nuove armi automatiche. tra le quali erano anche comprese la leggera da 7,7mm e la pesante da 12,7 mm destinate alla Regia Aeronautica.
In quest’ultima sede esse incontrarono però la forte concorrenza delle armi analoghe che erano state progettate in Italia sotto la direzione del Col. Revelli e venivano costruite dalla Società Anonima Fabbricazione Armi Torino (SAFAT), che aveva grandi tradizioni nel settore delle armi da fuoco, essendo l'ultima erede della Regia Manifattura d'Armi dell'antico stato sabaudo,situata in Borgo Dora a Torino, in cui aveva lavorato l'abile e geniale progettista di fucili Salvatore Carcano nella seconda metà dell'800.
Essa era allora controllata dalla Fiat e aveva già prodotto le mitragliatrici, disegnate dallo stesso Revelli, usate dall'Italia nella Prima Guerra Mondiale.
Delle effettive modalità con le quali si svolse il suddetto concorso per le mitragliatrici d'aeroplano ci parla, nel suo ormai introvabile memoriale intitolato `Mezzo secolo di strada’ l'Avv. Dino Mattòli, fratello del noto regista cinematografico Mario, che negli anni venti e trenta fu dapprima legale e in seguito alto dirigente della Breda, il quale scrive che, oltre alla propria opera di patrocinio giudiziario per questa società, ne dovette svolgere di persona anche una di carattere investigativo per evitare che la grande casa torinese, nominalmente rappresentata nell'occasione dallo stesso Col. Revelli, esercitasse tutte le sue capacità relazionali per volgere l'esito finale del concorso stesso a favore della sua controllata SAFAT.
Il Mattòli riuscì così a sventare un tentativo in questo senso che tu posto in essere dal concorrente, consentendo alla commissione militare preposta di scegliere senza interferenze l'arma più moderna e adatta alle esigenze aeronautiche nazionali con l'assegnazione della vittoria all'arma pesante di derivazione Browning proposta dalla Breda, che, tra l'altro, pesava 5 chili in meno della concorrente. La controparte cedente promosse a sua volta una causa giudiziaria per cercare di avversare tale scelta, ma la perse e fu condannata al pagamento delle spese processuali.
Questo sviluppo sfavorevole della disputa con la Breda irritò profondamente il senatore Giovanni Agnelli, capostipite della più importante dinastia industriale italiana, che decise seduta stante di fare uscire per venti anni la grande casa torinese dal settore della fabbricazione delle armi automatiche, e di cedere nel frattempo la sua controllata SAFAT alla stessa Breda.
La società lombarda poté così avviare la fabbricazione in serie della sua nuova famiglia di mitragliataci, facendole costruire inizialmente dalla stessa SAFAT, che disponeva già delle maestranze altamente specializzate occorrenti, e aprendo in seguito un moderno stabilimento dedicato alla loro produzione a Torre Gaia, nelle vicinanze di Roma.
L'adozione sui caccia della R.A. delle due mitragliatrici pesanti Breda SAFAT in calibro 12,7 mm, di buona affidabilità e dotate di un ottimo munizionamento dei tipi tracciante. perforanti-incendiario ed esplosivo che le rendeva molto simili alle mitragliere a tiro rapido, permise alla nostra Forza Aerea di disporre, già dalla prima metà degli anni '30 e nella prima parte della II G.M. di un armamento efficace, che fu collocato a bordo dei suoi caccia in maniera ottimale. montandole anteriormente in fusoliera davanti ai piloti e sulla loro precisa linea ottica di mira.

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La cadenza teorica di tiro di ciascuna di queste armi fu pero limitata a 700 colpi al minuto per ridurre il pericolo d'inceppamenti e non sprecare le costose munizioni.
Essa veniva poi ulteriormente ridotta a 600 colpi al minuto dal meccanismo di sincronizzazione del tiro attraverso l'elica, che consentiva alla stessa coppia di armi di sparare un totale di 20 colpi al secondo, con una velocità iniziale di arca 760 metri al secondo.


Data la molteplicità dei tipi di proiettili disponibili, la nastratura degli stessi poteva essere variata a piacimento da ciascuno dei piloti che, come narra lo stesso Minguzzi e contrariamente a quanto si potrebbe pensare, davano la loro preferenza ai proiettili incendiarie perforanti e non agli esplosivi per la facilità con la quale i primi riuscivano a provocare l'esplosione delle sacche di benzina vaporizzata miscelata con aria che erano molto spesso presenti nei diversi vani interni dei velivoli occupati dai serbatoi e dai circuiti di alimentazione, a causa della frequente trafilatura di piccole quantità di combustibile all'esterno degli stessi.

La bassa cadenza di tiro disponibile veniva così compensata dalla considerevole potenza distruttiva dei proiettili usati che era più che sufficiente per abbattere rapidamente i caccia e i bombardieri leggeri di costruzione russa che venivano incontrati dai nostri piloti in Spagna e quelli inglesi affrontati poco tempo dopo nei primi anni della II G.M.

Nella sua traiettoria balistica ciascuno dei 10 proiettili sparati da una singola arma in un secondo era però distanziato dal successivo di 90 metri, fatto che non consentiva ai nostri piloti di poter effettuare un efficace tiro -al volo- in deflessione contro gli avversari incrociati velocemente di traverso, poiché, in tal caso e nella migliore delle ipotesi, essi avrebbero potuto mettere a segno sul bersaglio non più di due o tre colpi alla volta. Li obbligava invece ad esercitare tutte le loro capacità di manovra per potersi piazzare in coda agli avversari, tenerli ben fermi nel collimatore e tirare contro di loro un numero elevato di colpi altamente distruttivi partendo già dalla distanza teorica di tre-quattrocento metri e serrando poi. per quanto possibile, la distanza per aumentare la probabilità di colpire,

Il volume di fuoco cosi prodotto non era però sufficiente per danneggiare in maniera definitiva i più grandi e pesanti plurimotori da bombardamento B-17 e B-24 statunitensi, blindati nelle loro parti vitali, che apparvero nei cieli italiani agli inizi del 1943.

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Come era stato già previsto dalla Direttiva AD t, emessa dallo Stato Maggiore della R.A. nel 1936, era quindi necessario che in quest'ultimo caso il tiro fosse effettuato congiuntamente da una pattuglia di tre caccia disposti in linea di fila e opportunamente distanziati tra loro, che avrebbero così sparato in rapidissima sequenza un numero triplo di colpi contro gli avversari più grandi.

Questo spiega perchè nella Regia Aeronautica fosse tanto praticato il volo acrobatica in formazione, nel quale i nostri piloti venivano portati ad eccellere,mentre minore importanza veniva data all'addestramento al tiro in genere e a quello in deflessione in particolare: tanto che il relativo addestramento si svolgeva sparando in volo contro semplici ed economici palloncini lanciati in aria da terra.

Prima della guerra di Spagna ogni reparto di cacciatori aveva così costituito una propria pattuglia che dedicava larga parte delle sue attività di volo all'esercizio dell'alta acrobazia.
Malgrado la stessa direttiva AD 1 descrivesse con precisione quali fossero le evoluzioni da usare in combattimento, individuando ad esempio nella virata brusca cabrata quella più adatta per sottrarsi ad un caccia avversario posto in coda, ed evidenziando nel contempo la scarsa utilità di altre manovre specifiche come il looping, l'addestramento acrobatico intensamente praticato per raggiungere la perfezione esecutiva che entusiasmava gli spettatori delle manifestazioni aeree d'anteguerra fini con l'essere spesso poco utile, se non controproducente per i nostri piloti.

Ne é rimasta traccia in quanto scrissero, a loro volta alcuni cacciatori britannici nei loro memoriali, circa le tecniche di combattimento adoperate dai caccia italiani quando erano impegnati nella scorta ai bombardieri operanti su Malta. Secondo gli stessi Inglesi, quando i nostri venivano attaccati dagli HURRICANE e dagli SPITFIRE posti a difesa dell'isola, essi reagivano inanellando una rapida serie di perfette manovre acrobatiche che li sottraeva all'azione degli avversari ma li portava a perdere contatto con i bombardieri scortati, dando al nemico la possibilità d colpire questi ultimi con maggiore facilità.

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Con l'arrivo dei robusti quadrimotori americani, che apparvero in maniera massiccia sul territorio nazionale tra la fine del 1942 e gli inizi del 1943. l'armamento standard dei caccia italiani basato sulle sole due SAFAT da 12,7 mm. che era stato conservato anche sui moderni e prestanti Macchi 202 delle prime serie, divenne quindi palesemente inadeguato.
Malgrado alcuni ufficiali piloti particolarmente avveduti, come l'allora Capitano Corrado Ricci. avessero evidenziato fin dalla seconda metà degli anni trenta, in alcuni articoli pubblicati sull'autorevole Rivista Aeronautica del Ministero, l'esigenza di disporre a bordo di cannoncini a tiro rapido da 20 mm. nulla era stato fatto in proposito dai vertici della R.A.
La potenza nominale di poco più di 800 CV dei motori radiali di costruzione nazionale che erano stati installati sui caccia italiani fino a tutto il 1941/42 era infatti insufficiente per sopperire al forte peso di una coppia di queste armi montate a bordo con il loro munizionamento, che ne avrebbe fatto scadere le capacità evolutive in maniera eccessiva.

Questa situazione rimase sostanzialmente invariata anche dopo l'introduzione dei Daimler Benz DB 601 costruiti su licenza in Italia, che, come viene indirettamente ricordato dallo stesso Minguzzi nel suo scritto, davano una potenza effettiva inferiore a quella erogata dai motori originali tedeschi. di poco superiore al migliaio di CV, e permettevano quindi l'installazione a bordo solo di altre due armi alari Breda SAFAT da 7,7 mm.

Sarebbe invece radicalmente cambiata con l'adozione dei Daimler Benz DB 605 germanici, che di CV ne davano quasi 1.500 ed erano quindi in grado di sopperire agevolmente al peso di una coppia di cannoni alari più uno sparante attraverso il mozzo dell'elica, che furono conseguentemente installati sui nuovi caccia della Serie 5, schierati in linea solo dalla prima metà del 1943 e in numero insufficiente. Agli inizi dello stesso anno si cercò quindi di correre rapidamente ai ripari con una soluzione di ripiego.

Con l'occupazione del territorio francese controllato dal governo di Vichy erano cadute in mano tedesca alcune centinaia dei più moderni ed efficaci caccia francesi con motore in linea dell'epoca: i Dewoitine D 520 armati con quattro mitragliatrici alari MAC da 7.5 mm. e con il Moteur Canon Hispano Suiza 12Y-45, da 9t0 CV. corredato con un cannone Hispano Suiza 404 da 20 mm (camerata per la potente munizione 20x1101, sparante attraverso il mozzo dell'elica.)
Sessanta di questi furono incorporati dalla Regia Aeronautica che li assegnò ai reparti da caccia basati sul territorio nazionale.
II 28 febbraio del 1943 ne furono cosi assegnati tre esemplari anche alla 359' squadriglia del 221 Gruppo da caccia, comandato dall'allora Maggiore Vittorio Minguzzi che ne avrebbe ricevuti un totale di otto, destinati ad operare esclusivamente in difesa di Napoli e del suo porto, frequentemente attaccato dai bombardieri americani.

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Pur risultando marginalmente più veloci degli ormai superati Macchi MC 200, che erano ancora i caccia più numerosi In casco al gruppo stesso, gli aerei francesi erano meno maneggevoli degli stessi. Nonostante ciò furono ugualmente bene accolti dai piloti italiani che intendevano sfruttare appieno tutte le potenzialità offerte dalla loro arma da 20 mm. Dei tre D 520 resi disponibili uno solo era però accompagnato dalle munizioni impiegate da quest'arma, per un totale complessivo di 10 colpi contro i 60 della normale dotazione prevista.
Malgrado questa grave carenza, il 19 marzo seguente il Maggiore Minguzzi decollò con quest'ultimo velivolo per intercettare una formazione di B-24D LIBERATOR del 376° e 98° BG che stava effettuando un'incursione sul porto di Napoli.


Come egli stesso racconta: "Poco prima delle 17.00 razzo rosso; Salto fuori dalla baracca Comando e inforco la bicicletta... Pedalo con calma per non arrivare senza fiato: intorno a me sento, più che vedere, altre persone che corrono. Il mio D 520 é vicino all'hangar della 359 lascio cadere la bicicletta vicino all'ala, e un aviere si affretta a recuperarla. Parto avendo come sezionari cinque MC 200, qualche chiacchiera con i gregari mentre indossiamo l'imbragatura del paracadute, poi ognuno corre al suo apparecchio, finisce di vestirsi, salta a bordo e mette in moto. Ormai tutto fila senza confusione e apparentemente senza fretta. alle17.05 stacco le ruote da terra e comincio a fare quota. La radio di bordo continua a gracchiare: `formazione nemica in avvicinamento decollo immediato. partire! partire!’. Confermo il decollo e continuo a salire in quota in formazione tre più due; la radio riprende a trasmettere. sempre in chiaro: "attenzione... provenienza sud. direzione... distanza... quota... quadrimotori quadratino...-. Sono cosi vicini che dovrei averli avvistati. ma ci sono tante nuvole in cielo che potrebbero occultare centinaia di apparecchi. Li avvisto infine tra Capri e Punta Campanella e confermo a terra: "quattro scaglioni in fila indiana, ciascuno composto da sei B-24D in cunei di tre, mi preparo ad attaccare”. Manovro per portarmi in favore di luce con íl sole alle spalle. la formazione nemica vola a 5.000 m e la seguo per un lungo tratto per valutare meglio velocità e rotta. Sono fuori tiro e loro non sparano, ma forse ci hanno visto. Certo é che fanno paura, qui se aspetto ancora un po' finisce che trovo un monte di scuse per non scendere più. Comunico via radio le modalità di attacco, si scende a coppie, primo scaglione, primo cuneo, io scendo per ultimo contro il capo formazione. Le coppie si allungano, scendono in picchiata con un rovesciamento, mi allineo dietro l'ultima coppia mantenendo una certa distanza per valutare i risultati. Vedo le loro traccianti salire dal basso, entrare in fusoliera, colpire il motore esterno del capo formazione, e arrivo anch’io a tiro. Serro sotto il più possibile, ho soltanto dieci colpi per il cannone e non ne devo perdere uno. Mi concentro sulla manovra e non faccio nemmeno caso se mi stanno sparando. Ad una distanza di 200 metri apro il fuoco, il D 520 non devia di un millimetro dalla sua rotta, non ho bisogno di mirare, ogni colpo va a segno: sul motore interno, sull'ala, in cabina. Fa uno strano effetto sparare con il cannone. sembra che i colpi escano al rallentatore. Eppure tutto avviene in un lampo: esplosioni sull'opera viva, mi sembra che si stacchino pezzi di lamiera, un motore s'incendia, la cabina va a fuoco, quindi devo impegnarmi nella virata di scampo. Il B-240 scarta bruscamente, passo sopra di lui a tutta velocità rifacendo quota. Sono raggomitolato dietro il seggiolino corazzato, teso fino allo spasimo, pronto a ricevere quel colpo che mi aspetto da un momento all'altro. Passano " dieci anni di vita” prima di uscire fuori tiro. Mi accorgo che sto spingendo con il corpo l'apparecchio per salire più velocemente, ho il cuore in tumulto. Attimi interminabili, poi uno sguardo verso terra dove un quadrimotore si sta allontanando lasciando una scia di fumo nero. Deve essere il mio. ma accidenti quanto è già arrivato lontano! I gregari si fanno sotto: prima uno, poi un altro... non manca nessuno. Ma la formazione nemica é già entrata nel golfo e ha iniziato il bombardamento. Segnalo via radio a terra che mi porto al largo, seguendo la formazione nemica in modo da sorprenderla quando esce da terra. Non ho più munizioni per il cannone, ma sono bastati dieci colpi per avere ragione del mostro: queste sono le armi che ci servono! Seguo alla radio lo sviluppo dello scontro, mozziconi di frasi, indicazioni di rotta, scariche elettriche; poi chiamano il mio nominativo e mi fanno fare alcune manovre per essere sicuri della mia identificazione. Ma non mi danno notizie (circa la posizione del nemico n.d.r.) e devo essere io ad avvistare la formazione nemica: gli scaglioni sono allungati, almeno due quadrimotori sono in difficoltà e volano sbandati. una pattuglia di cinque B-24D è più discosta dagli altri. Contro di quella cinque o sei caccia.

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Mi porto anch’io verso di loro, ho ancora munizioni per le mitragliatrici e posso sempre provare il comportamento del D 520. Mentre mi sto facendo sotto, i caccia lontani si raggruppano per un'azione coordinata: mi avvicino per unirmi all'attacco e dirigo la mia pattuglia contro il B-24D esterno di destra. Apro il fuoco da circa 200 m con le sole mitragliatrici: un effetto poco esaltante, ma noto che il B.240 presenta incendio a bordo. Rifaccio quota e, seguito dall'unico gregario che è rimasto in formazione con me, tento un secondo assalto contro il B-24D in difficoltà. Scendo sotto la formazione nemica e comincio a risalire tenendomi all'esterno, quando il D 520 ha un sussulto e una serie di squarci si apre sull'ala sinistra. Un colpo alla pedaliera e vado in candela sperando che l'ala regga. L'apparecchio vibra per lo sforzo, il mare s'avvicina rapidamente; dopo un tuffo di quasi 2.000 m richiamo dolcemente: la cloche trema tra le mani, o forse sono le mani che tremano sulla cloche. L'afferro con entrambe le mani e il tremito cessa: tiro verso di me decisamente e il D 520 esce dalla picchiata, livella e riprende a salire obbedendo ai comandi. In cielo non vedo più nessuna. chiamo Capodichino e annuncio che rientro."


Questa prima esperienza operativa, fatta dal Magg. Minguzzi, con un aeroplano dotato di armamento più pesante di quello consueto, confermava quindi che l'uso dell'arma da 20 mm. con soli 10 colpi, era stato altamente efficace mentre quello delle sole mitragliatrici da 7.5 m era stato sterile e controproducente per l'attaccante che era stato colpito dai mitraglieri dei bombardieri americani, rischiando seriamente d'essere abbattuto. L'efficacia dei nuovi cannoncini di bordo sarebbe stata tuttavia limitata se la piattaforma di tiro destinata ad usarli non fosse stata all'altezza dei tempi. Come già accennato. in quello stesso periodo stavano diventando operativi i primi esemplari dei nuovi caccia italiani della serie 5.
I primi ad entrare in linea, nel gennaio 1943, furono i Macchi MC-205 assegnati al 1° Stormo C.T. Essi sarebbero stati poi seguiti dal Fiat G-55, di cui era iniziata la costruzione della prima serie operativa, ed infine dal Reggiane Re. 2005, di cui, agli inizi della primavera di quell'anno. esistevano due soli prototipi destinati ai collaudi di accettazione definitiva presso il Centro Sperimentale di Guidonia.


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Si trattava del primo prototipo MM 494 armato con una mitragliera Mauser MG-151 da 20 mm (camerata per la cartuccia 20x82). tirante attraverso il mozzo dell'elica, con un numero di colpi che sarebbe stato ridotto da 350 a 160 per ridurre il pericolo d'inceppamenti, e con le due consuete Breda SA- FAT da 12.7 mm in fusoliera, che sarebbero state di li a poco integrate con altre due 12.7 alari, e del secondo prototipo MM 495, che era stato invece consegnato con l'armamento definitivo di tre MG-151 e due 12.7 mm. Il Reggiane 2005 MM 494 era stato consegnato al Centro di Studi ed Esperienze di Guidonia nel febbraio del 1942 e sottoposto ad una lunga serie di prove e modifiche al termine delle quali fu considerato idoneo ad operare prevalentemente come cacciabombardiere, dotato di travetto centrale di fusoliera capace di trasportare una bomba da 640 kg e di due travetti alari.

La Reggiane non accettò questo verdetto formulato dai competenti organismi tecnici della R. A, facendo pressioni a livello politico affinché il Re-2005 fosse impiegato anche nel ruolo di caccia intercettore originariamente previsto.
Lo stesso velivolo fu perciò destinato ad un primo impiego sperimentale operativo, di cui si è saputo sempre piuttosto poco. e assegnato al 22° Gruppo comandato dal Magg. Minguzzi. II 2 aprile 1943, alle ore 18.45. il primo prototipo MM 494 del Re-2005 fu cosi portato in combattimento dallo stesso comandante di gruppo, che ne descrive la notevole efficacia bellica nel modo seguente:

"Alle 18.30 parte dalla baracca Comando Caccia il razzo rosso. La sorpresa è completa. E già tardi, il cielo è coperto: non mi aspettavo l'allarme. Mollo tutto e mi precipito all'area della 369', che ha preso in carico temporaneamente il Re-2005, per decollare avendo come sezionari tre D 520. Punto verso il Vesuvio e foro le nubi facendo quota. la radio gracida: 'quadrimotori diretti su Napoli!".
Dirigo quindi sull'isola di Ischia dove circuito a 7.000 m in attesa d'avvistarli. Improvvisamente li vedo: circa 20 km a sud dell'isola. a quota Inferiore, ventiquattro B-24D in quattro pattuglie di sei quadrimotori,disposti a cunei di tre in linea di fila.




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Comunico a terra l'avvistamento e manovro per attaccare. La formazione nemica è molto allungata, naviga a sfiorare le nubi e ogni tanto gli apparecchi spariscono tra queste. Attacco la terna a quota più elevata con un'affondata decisa, per impedire che possa trovare riparo tra le nuvole cosi facendo distanzio i sezionari. Non mi sparano contro,forse non mi hanno visto, forse non si curano di un caccia solitario. Mi avvicino a tutta velocità al capo formazione mirando tra motore interno e cabina di pilotaggio. La formazione accosta nella mia direzione. non mi sposto dalla traiettoria e a 500 m la sagoma del LIBERATOR alla destra del cuneo riempie il parabrezza del Re- 2005: ancora un attimo e sparo con "tutte le armi' (apposito pulsante presente sulla cloche con quello relativo alle sole 12,7 mm che venivano usate per puntare il cannone n.d.r.). Il Re 2005 sussulta come scosso da un tremito, la cabina si riempie di fumo azzurrognolo, attraverso la maschera filtra l'acre odore della cordite. Tutti i colpi vanno a segno, un motore esplode. e l'ultima immagine che ho prima di sparire tra le nubi è quella di un motore semi- staccato su cui ruota ancora l'elica tra guizzi di fiamme. Mi impegno nella manovra di scampo: per qualche secondo sono inseguito dalle fiammelle gialle e rosse delle traccianti, ma non mi inquadrano, evidentemente i mitraglieri sono sorpresi dalla mia velocità. Poi piombo tra le nubi: respiro ad ampie boccate per snebbiarmi dall'oppressione della manovra, stringo la maschera al viso e ricomincio a fare quota. Esco di nuovo dalle nubi e non vedo nessuno, dirigo quindi attraverso il Golfo alla volta di Napoli dove ho notato ampi squarci di visibilità. Scendo di quota e scorgo una coppia di D 520 che sta dirigendo verso una formazione di sei 8240, un migliaio di metri più bassi. La formazione nemica si sta allontanando dal porto, ma dirige verso terra, con i quadrimotori scalati in quota. Chiamo i gregari parchè si mettano in formazione con me e insieme dirigiamo all'attacco: linea di fila tutti contro lo stesso bersaglio. Con una lieve pressione sulla pedaliera, metto l'apparecchio a coltello ed attacco il quadrimotore a quota più alta. Di nuovo il Re-2005 se ne va distanziando i gregari: evidentemente non mi rendo conto della velocità che raggiungo: “Questo apparecchio é un'ira d'Iddio!”. Di nuovo una lunga raffica, di nuovo tutti i colpi vanno a segno, la torretta di coda non spara più: esco di coda e m'impegno in una brusca virata a cabrare, un -paio di scodinzoli" e sono già tornato alla quota base. Anche i gregari sono riusciti ad attaccare, ma non osservo risultati. Intanto la formazione nemica riesce a sottrarsi trovando riparo tra le nubi. Li precedo su quella che ritengo sia la loro rotta di rientro, e infatti ogni tanto ne vedo qualcuno sfilare tra gli squarci delle nubi, ma non riesco ad agganciarli. II Re 2005 risponde con agilità e prontezza, ma il giochino che stiamo tacendo è faticoso: in picchiata supero agevolmente 800km/h e quando richiamo l'accelerazione mi pesa addosso facendo calare un velo nero sugli occhi.


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Nausea, mal di stomaco, respiro corto, ogni volta impiego più tempo per riprendermi: poi non ce la faccio più e mi sottraggo. Raduno i gregari via radio e sempre via radio avviso Caporale (nominativo convenzionale del guidacaccia basato a terra. n.d.r.) che sto rientrando".


Nei mesi successivi il 224 Gruppo ricevette 19 esemplari dei circa 40 Reggiane Re 2005 che furono complessivamente prodotti, che furono assegnati alla 362' squadriglia che non ne ebbe mai a disposizione più di 9 esemplari alla volta. perdendone diversi per incidenti di volo e qualche altro in combattimento.

La guerra era ormai persa, e l'accoppiata tra i cannoncini da 20 mm e i pochi ma potenti e veloci caccia della serie 5 disponibili avrebbe reso solo più pesante il pedaggio pagato dai bombardieri alleati nelle loro incursioni sulla penisola. senza incidere sul corso sfavorevole degli avvenimenti.
Ultima modifica di 72sq_SilVal il mar lug 29, 2008 1:37 am, modificato 4 volte in totale.
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articolo molto interessante Silvio

grazie !!!
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